Settarismo e divisioni comunitarie nella Belfast del pallone che, in fondo, non cambia mai. O, se non altro, non lo dà a vedere, ed ecco allora la settimana che porta al derby fra le Big Two, Linfield e Glentoran, essere segnata da un episodio decisamente inquietante: protagonista suo malgrado Paddy McCourt, ala nordirlandese del Celtic Glasgow, il club scozzese tradizionalmente cattolico e vicino alle istanze dei repubblicani irlandesi, destinatario di una busta contenente alcuni proiettili e intercettata in un ufficio della Royal Mail prima di essere recapitata al calciatore. McCourt - che è originario di Londonderry, contea sulla quale unionisti e nazionalisti ancora battagliano per il nome - non è il primo, tuttavia, ad avere ricevuto intimidazioni del genere: nei giorni scorsi pacchi simili erano stati spediti, sempre dall'Irlanda del Nord, anche a Nial McGinn e Neil Lennon, che del Celtic sono centrocampista il primo e allenatore il secondo. Entrambi nordirlandesi e, come McCourt, con un presente o un passato in nazionale.
Il tutto per rimarcare che il rapporto fra settarismo e sport, in Irlanda del Nord, è sempre vivo. Questioni di identità in una città che ancora, sotto tanti aspetti, non ha chiuso i conti con un passato turbolento e che, spesso pretestuosamente, si è servita anche del calcio, passione collettiva e sufficientemente folle, per mascherare altre istanze. Una storia per tutte: 27 dicembre 1948, un lunedì, giornata dedicata al turno di campionato del Boxing day che allora era caduto di domenica. Campione in carica grazie al successo nel primo campionato successivo alla Seconda guerra mondiale, nonché vincitore degli ultimi cinque titoli prima della sospensione dovuta al conflitto, il Belfast Celtic era atteso al varco in casa del Linfield.
Il tutto per rimarcare che il rapporto fra settarismo e sport, in Irlanda del Nord, è sempre vivo. Questioni di identità in una città che ancora, sotto tanti aspetti, non ha chiuso i conti con un passato turbolento e che, spesso pretestuosamente, si è servita anche del calcio, passione collettiva e sufficientemente folle, per mascherare altre istanze. Una storia per tutte: 27 dicembre 1948, un lunedì, giornata dedicata al turno di campionato del Boxing day che allora era caduto di domenica. Campione in carica grazie al successo nel primo campionato successivo alla Seconda guerra mondiale, nonché vincitore degli ultimi cinque titoli prima della sospensione dovuta al conflitto, il Belfast Celtic era atteso al varco in casa del Linfield.
Eccole, le originali Big Two, espressioni di identità irriducibili. Il Belfast Celtic era la squadra di Falls Road, quella che aveva mutuato i colori della maglia dal Celtic di Glasgow e giocava le sue partite casalinghe al Celtic Park, che allo stesso tempo era un cinodromo e sul quale, oggi, sorge un centro commerciale. Era nato nel 1891, il Belfast Celtic, rigidamente cattolico e rigorosamente tifato dai nazionalisti irlandesi. Tanto da essere spinto a ritirarsi dal campionato per quattro anni, dopo che nell'ottobre 1920 un uomo sugli spalti del Celtic Park sparò sulla folla: il contesto di quella Belfast era troppo pericoloso per un club così fortemente caratterizzato.
Era il periodo della Guerra d'indipendenza irlandese e, un mese dopo, a Dublino fu la polizia ausiliaria britannica ad aprire il fuoco contro gli spettatori di una sfida di calcio gaelico al Croke Park, in quello che rimane nella tragica storia d'Irlanda come la Bloody Sunday. Già allora, quella con il Linfield rappresentava molto più che una rivalità sportiva: c'era la politica e c'era la religione. Già, perché il Linfield è da sempre il club dei protestanti lealisti: tifo fortemente radicato a Shankill, maglia blu che ricalca quella dei Rangers di Glasgow, il monarchico castello della famiglia Windsor al centro dello stemma del club, il divieto statutario di giocare di domenica - in quanto giorno di culto - e, per diversi decenni, fermo nel non ingaggiare calciatori cattolici (furono non più di una mezza dozzina sino agli anni Novanta).
Era il periodo della Guerra d'indipendenza irlandese e, un mese dopo, a Dublino fu la polizia ausiliaria britannica ad aprire il fuoco contro gli spettatori di una sfida di calcio gaelico al Croke Park, in quello che rimane nella tragica storia d'Irlanda come la Bloody Sunday. Già allora, quella con il Linfield rappresentava molto più che una rivalità sportiva: c'era la politica e c'era la religione. Già, perché il Linfield è da sempre il club dei protestanti lealisti: tifo fortemente radicato a Shankill, maglia blu che ricalca quella dei Rangers di Glasgow, il monarchico castello della famiglia Windsor al centro dello stemma del club, il divieto statutario di giocare di domenica - in quanto giorno di culto - e, per diversi decenni, fermo nel non ingaggiare calciatori cattolici (furono non più di una mezza dozzina sino agli anni Novanta).
Ma quel lunedì tutto cambiò. Non era ancora il periodo dei Troubles, ma fu il giorno della «Windsor riot», la feroce rissa che scoppiò a Windsor Park, tana dei Blues. A dieci minuti dal termine dell'incontro, il Belfast Celtic era in vantaggio: 0-1, in undici contro otto in un ambiente, raccontano le cronache del tempo, sin troppo intimidatorio. Arrivò il pareggio del Linfield, i tifosi di casa invasero il campo e cominciò una caccia all'uomo, con i calciatori del club cattolico costretti alla fuga per salvarsi dalla follia del pubblico. Finì con tre feriti gravi: il portiere Kevin McAlinden, il difensore Robin Lawlor e l'attaccante Jimmy Jones, capocannoniere la stagione precedente, sul quale gli assalitori si accanirono anche dopo che aveva perso conoscenza. Quella notte, la dirigenza del Celtic si riunì e decise il definitivo ritiro del club dalla Irish League, una volta portata a termine la stagione. Lo annunciò con un comunicato che accusò non tanto il Linfield, quanto le «misure inadeguate» adottate della polizia locale, la Royal Ulster Constabulary. La storia del Belfast Celtic si chiuse dunque in un momento di piena gloria sportiva, con 14 titoli nordirlandesi nel palmares.
Toccò al Glentoran, allora, ereditare il tradizionale ruolo di sfidante del Linfield nell'immutabile derby del Boxing Day, il posto del Celtic nella definizione di Big Two e buona parte della sua tifoseria. Il che ampliò la base di supporter dei Glens - nati protestanti, nella East Belfast - e li rese più omogenei sotto il profilo politico e religioso: da allora, cattolici o protestanti che siano, i giocatori del Glentoran a Windsor Park vengono regolarmente sommersi di insulti e fischi. Di fatto, la rivalità con il Linfield divenne, poco alla volta, legata ad aspetti territoriali relativi alla penetrazione nei diversi quartieri della città piuttosto che a motivi settarici, sino alla comparsa dall'una e dall'altra parte di movimenti hooligan pronti, con buona frequenza, ad atti di violenza e teppismo che spesso hanno caratterizzato l'annuale appuntamento del Boxing day.
Il derby di martedì sarà il recupero della sfida saltata, causa gelo, lo scorso 27 dicembre. Terza sfida stagionale fra i due club, ma forse solo gli statistici più attenti conoscono con precisione i numeri di un derby che conta oltre seicento precedenti. Mettendo assieme i trofei, sono 72 campionati, 60 Irish Cup, 16 League Cup, 70 supercoppe, con i Blues nel ruolo di club più vincente di sempre e attuale leader del campionato. Davanti proprio ai rossoverdi del Glentoran. Se l'intensità ideologica degli scontri ora appare più sfumata, la tensione resta: nel 2008 a Windsor Park alcune decine di tifosi del Glentoran si scontrarono con la polizia e la federcalcio nordirlandese prese la più drastica delle decisioni: bandire dal calendario il derby del Boxing day almeno per due anni. Sanzione poi revocata e commutata in una pesante ammenda economica nei confronti dei due club. Prima, marzo 2005 al The Oval, vi furono diversi feriti e numerosi arresti per gli incidenti seguiti alla rete dell'ex attaccante del Linfield Chris Morgan che decise il derby a favore del Glentoran. Il settarismo, per il Linfield e i suoi tifosi, resiste oggi soprattutto quando l'avversario è il Cliftonville, club di un sobborgo della zona nord di Belfast che ancora mantiene tra i suoi fan una larghissima base di cattolici indipendentisti. E che gioca le sue gare interne in uno stadio dal nome tanto insolito quanto evocativo: «Solitude». Perché a Belfast, dietro al calcio, c'è molto di più.
Nessun commento:
Posta un commento